La questione del credito d’imposta per ricerca e sviluppo in Italia ha sollevato una controversia significativa che coinvolge le aziende e l’Agenzia delle Entrate. Recentemente, la Corte di Giustizia Tributaria di Roma ha emesso una sentenza riguardante un credito di imposta maturato nel 2015, sollevando interrogativi sul funzionamento burocratico del sistema fiscale italiano.
Il governo Renzi, attraverso una direttiva europea, aveva introdotto un credito d’imposta per stimolare gli investimenti in R&D. Tuttavia, l’Agenzia delle Entrate non ha adottato misure adeguate per valutare le richieste di credito, lasciando che ogni tipo di impresa, comprese quelle non direttamente legate alla ricerca, potesse presentare progetti innovativi. Dopo anni, l’Agenzia ha avviato accertamenti fiscali su queste imprese, puntando su crediti d’imposta considerati inesistenti, nonostante vi siano casi di R&D legittima.
Gli imprenditori che hanno effettivamente investito in ricerca hanno trovato la loro situazione complicata da una burocrazia costosa e lenta, costretti a reperire documentazione risalente a quattro o cinque anni fa e a sostenere spese legali. Questa situazione ha messo in evidenza lo scollamento tra le normative fiscali e il mondo imprenditoriale: le aziende temono di investire in innovazione in un contesto che potrebbe portarle a contenziosi prolungati.
La Corte ha sottolineato che l’interpretazione dell’Agenzia rischia di sabotare l’obiettivo legislativo di modernizzare e rendere competitivo il sistema produttivo. Nonostante ciò, l’Agenzia sembra intenzionata a proseguire la sua linea d’azione, ignorando le raccomandazioni emerse dalla sentenza.