Prima dell’implementazione della normativa sul figlio unico nel 1979, la Cina aveva già introdotto nel 1970 una severa politica di controllo delle nascite. La campagna “più tardi, più lungo, di meno” mirava a rinviare i matrimoni e a limitare il numero di figli, con sanzioni per chi non rispettava le restrizioni. Le donne in età fertile venivano monitorate attraverso registri dettagliati, e in alcuni luoghi di lavoro erano imposte quote per le gravidanze. Coloro che rimanevano incinte senza permesso affrontavano forti pressioni, e le donne nelle aree rurali erano obbligate a sterilizzarsi dopo il secondo figlio.
Uno studio del sociologo Martin King Whyte ha rivelato che le tecniche coercitive utilizzate nella campagna degli anni ’70 anticiparono quelle della politica sul figlio unico del 1980. Il numero di sterilizzazioni e aborti aumentò drasticamente in quel periodo, suggerendo che la pianificazione delle nascite non si basava su scelte volontarie. Anche Steven Mosher ha documentato casi di donne costrette ad abortire anche nel terzo trimestre.
Nonostante il tasso di fertilità fosse già diminuito, la politica fu guidata da ideali neomalthusiani e da una percezione della crescita economica pro capite che favoriva la riduzione della popolazione. Le sanzioni per le famiglie che superavano il numero consentito di figli includevano multe severe e difficoltà nell’accesso ai servizi essenziali.
La politica del figlio unico ha seguitato le pratiche coercitive degli anni ’70, con esiti drammatici in termini di violazioni dei diritti umani. Anche se il tasso di fertilità era già calato, questa legislazione si è tradotta in un massiccio incremento di aborti e sterilizzazioni, evidenziando una supremazia delle politiche statali sulla dimensione famigliare.