Nel sistema fiscale italiano, i lavoratori dipendenti e pensionati hanno versato venticinque miliardi di euro in tasse non dovute a causa del fiscal drag, un fenomeno che porta a pagare più tasse nonostante un aumento nominale del reddito, senza un reale incremento del potere d’acquisto. Questo meccanismo, evidenziato dall’Ufficio parlamentare di bilancio, penalizza soprattutto chi guadagna tra 35.000 e 70.000 euro, che rappresenta quasi due terzi delle entrate fiscali dell’Irpef.
Le aliquote Irpef non sono indicate all’inflazione, causando un’erosione dei benefici di eventuali tagli fiscali. Gli aumenti salariali, spesso legati all’inflazione, portano i contribuenti verso scaglioni fiscali superiori, riducendo accesso a bonus e detrazioni. Negli ultimi anni, con un’inflazione al 17%, i contratti di lavoro hanno visto aumenti che, sebbene rappresentassero una parziale compensazione, hanno accresciuto la pressione fiscale.
Dal 2020 al 2024, il fiscal drag ha contribuito per 21 miliardi all’incremento dell’Irpef. La pressione fiscale nel 2024 ha raggiunto il 42,6%, mentre il governo comunica riduzioni delle tasse, sostenute in realtà dall’aumento del gettito derivante proprio dal fiscal drag. La soluzione proposta sarebbe l’adeguamento periodico degli scaglioni Irpef all’inflazione, come già avvenuto negli anni Ottanta in Italia.
Attualmente, 17 paesi dell’OCSE hanno meccanismi in grado di adeguare le aliquote fiscali all’inflazione. In Italia, i governi, indipendentemente dall’orientamento politico, hanno tentato di riequilibrare le tasse con modifiche parziali delle aliquote, senza affrontare il problema del fiscal drag, che consente allo Stato di mantenere alta la pressione fiscale senza nuove leggi.
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Fonte: www.linkiesta.it