Nel corso della storia recente, gli Stati Uniti hanno frequentemente fatto ricorso all’uso della forza militare per perseguire i propri obiettivi geopolitici. Da interventi in conflitti aperti a operazioni più sotterranee, il loro approccio è stato variabile e spesso controverso.
Dalla guerra in Vietnam, dove la giustificazione principale era la lotta contro il comunismo, gli USA hanno intrapreso diverse azioni militari, come il bombardamento della Serbia, avvenuto senza il consenso delle Nazioni Unite, supportato dalla quasi totalità delle nazioni occidentali. In seguito, le invasioni di Afghanistan e Iraq hanno avuto un forte impatto sulla geopolitica internazionale; in questi casi, le giustificazioni si sono basate su prove che in seguito sono state dimostrate false, legate agli attacchi dell’11 settembre 2001.
Tuttavia, gli interventi diretti contro paesi con governi democraticamente eletti hanno avuto una natura diversa. In questi casi, gli Stati Uniti si sono concentrati su operazioni di più bassa intensità, come colpi di stato, attività di spionaggio e manipolazione economica e politica. Tali azioni, pur non sfociando in conflitti aperti, hanno influenzato notevolmente la stabilità di diverse nazioni, sollevando interrogativi sulle motivazioni e le conseguenze di tali ingerenze. L’approccio statunitense alla politica estera continua a destare preoccupazioni e questioni etiche, evidenziando la complessità delle relazioni internazionali nel XXI secolo.