Nell’attuale contesto geopolitico, il termine “tregua” sta assumendo un significato ambiguo, soprattutto riguardo ai recenti eventi tra Israele e Iran. Il 24 giugno, dopo dodici giorni di attacchi reciproci, è stata annunciata una pausa nelle ostilità, ma questo non rappresenta un vero accordo di pace. L’interruzione è stata in gran parte decisa dagli Stati Uniti, che hanno indotto le due parti a fermarsi.
Il conflitto, scaturito dall’attacco israeliano a un consolato iraniano in Siria e dalle conseguenti rappresaglie iraniane su obiettivi militari israeliani, ha rivelato una situazione di tensione perdurante. L’ex presidente statunitense Donald Trump ha svolto un ruolo cruciale nel contenere l’escalation, imponendo implicitamente un ultimatum a entrambi i contendenti.
Un editoriale di “Le Monde” sottolinea come l’ordine internazionale, frutto del dopoguerra, stia cedendo il passo a una realtà dominata dalla forza, dove il diritto internazionale è ridotto a mera retorica. Un attacco israeliano del 13 giugno ha ulteriormente compromesso la legalità multilaterale, giustificato come autodifesa.
Trump e Netanyahu, entrambi leader polarizzanti, hanno creato una sinergia che sta trasformando i conflitti in opportunità politiche. Mentre aerei israeliani colpivano obiettivi mirati, Trump si vantava di tali azioni, sottolineando la sua immagine di leader forte.
In Italia, la premier Giorgia Meloni ha espresso la sua affinità con Trump, sottolineando un approccio simile di polarizzazione politica. Sebbene alcuni osservatori vedano la situazione come una “fine dell’era iraniana”, l’Iran rimane una potenza strategica in grado di influenzare gli equilibri regionali.
Mentre il conflitto in Medio Oriente continua, Gaza e Ucraina sembrano essere dimenticate. Ciò riflette un fallimento morale e politico dell’Occidente, che rischia di minare la propria legittimità come garante dell’ordine globale. La recente pausa nelle ostilità tra Israele e Iran rappresenta solo un intervallo temporaneo, non una soluzione duratura.