Israele e Iran sono al centro di una competizione che coinvolge potenze regionali e globali, risalente agli anni Ottanta, quando i due paesi erano alleati sotto lo Scià. La rottura è avvenuta con l’arrivo degli Ayatollah e la creazione di un regime islamico. Dopo il crollo dell’Iraq di Saddam Hussein, l’Iran ha cercato di espandere la sua influenza sciita. Nel frattempo, Israele ha raggiunto la pace con alcuni paesi arabi, ma si è trovato a fronteggiare conflitti con i palestinesi.
Teheran ha formato l’Asse della Resistenza, creando un’alleanza strategica con Hezbollah in Libano, Hamas a Gaza, e altri gruppi militanti. Israele ha mantenuto una superiorità tecnologica e il sostegno degli Stati Uniti, ma il problema palestinese persiste. La situazione è stata alterata dall’uccisione di Qasem Soleimani nel 2020, e l’11 settembre ha segnato un punto di svolta.
Dopo il 7 ottobre, il contesto è cambiato radicalmente: Hamas e Hezbollah sembrano indeboliti, Assad è in difficoltà, e il Libano ha contenuto i fondamentalisti. Israele, con l’attacco attuale, mira a modificare radicalmente i rapporti di forza. Eliminando la minaccia nucleare iraniana e i missili balistici, spera di ottenere una superiorità militare duratura. Inoltre, cercando il consenso da paesi arabi e il silenzio da parte della Turchia, Israele punta a consolidare la sua posizione.
Il regime degli Ayatollah, già vulnerabile a causa della sua repressione interna e della legittimità basata sulla forza, rischia un crollo se perde il controllo nella regione. Un attacco alle risorse energetiche iraniane potrebbe sconvolgere ulteriormente la sua stabilità.
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