Nel momento in cui il mappamondo politico ruota dall’Atlantico al Pacifico, dopo l’incontro tra Usa e Cina, non è troppo presto per parlare della “Rivoluzione cinese”, in particolare di quella che si è sviluppata a partire dal 2001 con l’ingresso della Cina nel WTO e con il conseguente “grande balzo”. In appena trenta anni la Cina è venuta ad essere più o meno pari all’America.
Oggi il mondo è ancora globale, con container che circolano sugli oceani e idee e segni informatici che circolano sulla rete. Tuttavia, è terminata la utopia della “globalizzazione”, che prevedeva una nuova forma di democrazia universale in cui il mercato era sopra e tutto il resto, come Stati, Governi e popoli, era sotto.
Il Presidente Clinton aveva pronunciato la frase: “La Cina, in cammino verso il progresso economico e verso la democrazia”, come se la democrazia fosse una merce che si esporta. In realtà, è stata la Cina a sviluppare un suo proprio e diverso sistema politico. La differenza non deve essere causa di fatali errori politici, soprattutto in un mondo di emergenti guerre commerciali.
Nel 2009, il Governo italiano propose un accordo denominato “Global Legal Standard” nella sede del G20, con l’obiettivo di passare dal free al fair trade. La proposta non fu accolta e l’alternativa vincente fu stampare moneta. Oggi, è ancora più necessario tornare allo spirito di “Bretton Woods” e unirsi sul commercio globale con regole condivise. La democrazia è un bene prezioso, ma deve rispettare anche le altre forme e culture politiche. Una nuova “Bretton Woods” potrebbe vedere la partecipazione di Usa, Cina e Unione Europea, unita in forza del suo Trattato costitutivo.

