Lorenzo Moscon, affetto da triplegia spastica dalla nascita, è uno dei quattro malati gravi che si sono rivolti alla Corte Costituzionale per contestare l’articolo 580 del Codice penale, che concerne la punibilità di chi agevola il suicidio assistito. Attualmente, il caso è in esame nel procedimento Cappato ter. Moscon esprime la sua preoccupazione che lo Stato possa condurlo alla morte, rifiutando l’idea del suicidio assistito.
In un’intervista a La Verità, Moscon sottolinea che lui e gli altri malati desiderano partecipare al processo per assicurarsi che rimangano requisiti essenziali per l’accesso al suicidio assistito. Sostiene che, nel caso in cui si depenalizzi l’aiuto al suicidio, la condizione di non essere tenuti in vita tramite trattamenti di sostegno vitale dovrebbe rimanere un fattore determinante. Secondo il suo parere, chi aiuta un malato a suicidarsi dovrebbe essere punito, ma il supporto vitale deve restare una delle condizioni.
Moscon mette in guardia su possibili sviluppi futuri, simili a quelli già avvenuti in altri Paesi europei, dove potrebbe sorgere un potere decisionale da parte di medici o giudici su chi deve vivere o morire, creando un pericoloso “Ius vitae necisque”. Racconta di testimonianze di pazienti che, pur sembrando non responsivi, erano coscienti e terrorizzati all’idea di essere soggetti a eutanasia senza poter esprimere il loro dissenso. Moscon non intende criminalizzare i medici, ma vuole richiamare l’attenzione su un problema culturale crescente.