Il 27 gennaio 1945, con la liberazione di Auschwitz-Birkenau da parte dell’Armata Rossa, si rivelò al mondo l’orrore di un sistema volto all’annientamento umano, evidenziato dai sopravvissuti ancora in vita. Le SS, nel timore dell’avanzata sovietica, avevano evacuato frettolosamente il campo, trascinando 60.000 prigionieri in una marcia della morte, nel tentativo di distruggere le prove dei crimini compiuti. Il tenente Witold Pilecki, uno dei fondatori della resistenza polacca, si era fatto arrestare nel 1940 per entrare ad Auschwitz e documentare quanto accadeva. Il suo rapporto del 1941, contenente dettagli su atrocità, lavoro schiavistico ed esecuzioni, fu considerato “esagerato” dagli inglesi. Jan Karski, altro ufficiale polacco e Giusto tra le nazioni, entrò nel Ghetto di Varsavia nel 1942 per testimoniare il genocidio degli ebrei, ma anche le sue avvertenze ai leader alleati furono accolte con scetticismo. Nel 1944, due ebrei slovacchi, Rudolf Vrba e Alfréd Wetzler, fuggirono da Auschwitz e redassero un dettagliato rapporto sulle atrocità. Questo documento generò proteste in Svizzera, ma non riuscì a fermare lo sterminio degli ebrei ungheresi. Altri evasi contribuirono con ulteriori rapporti, creando i ‘Protocolli di Auschwitz’, che furono diffusi dal governo polacco in esilio a Londra. Queste testimonianze arrivarono al pubblico poco prima della liberazione del campo, avvenuta esattamente due mesi dopo. Le informazioni raccolte delineano la brutalità della Shoah e dei campi di concentramento nazisti.