Nel dibattito statunitense, gli anni Sessanta sono considerati un periodo di intensa mobilitazione per i diritti civili, il femminismo e contro la guerra in Vietnam. Al contrario, gli anni Settanta sono spesso visti come un’epoca di frammentazione e disillusione. Tuttavia, il saggio di Michael Hardt, “I Settanta sovversivi”, sfida questa percezione, evidenziando le continuità e le innovazioni nei movimenti di quel decennio. Hardt esplora questioni legate alla liberazione omosessuale, al femminismo e al contrasto con il razzismo, collegando esperienze globali in paesi come Guinea-Bissau, Nicaragua e Giappone.
Hardt sostiene che gli anni Settanta sono segnati da instabilità e crisi dei modelli sociali ed economici post-Seconda guerra mondiale. Questo periodo rappresenta, secondo lui, l’inizio del nostro tempo contemporaneo. I movimenti di quel decennio hanno affrontato problemi che persistono oggi, come le trasformazioni del lavoro e i limiti dello sviluppo. L’analisi di Hardt ruota attorno a quattro concetti: autonomia, molteplicità, sperimentazione di democrazia e liberazione. L’autonomia, inizialmente legata alle lotte di fabbrica, si estende ad azioni dirette contro infrastrutture nucleari; la molteplicità emerge come principio politico fondamentale, specialmente nei movimenti antirazzisti e femministi; la liberazione diviene l’orizzonte comune dei movimenti.
Hardt dedica un capitolo all’Italia, esaminando i movimenti autonomi, nuove forme di contropotere e la liberazione dal lavoro. La sua analisi, ricca di riferimenti internazionali, cerca di produrre un riconoscimento collettivo e promuovere un nuovo paradigma di liberazione in un contesto attuale sempre più complesso.
Sintesi AI da RassegnaNotizie.it
Fonte: ilmanifesto.it
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