Uno studio recente ha messo in luce che la vera minaccia per la salute mentale degli adolescenti non è tanto il tempo trascorso davanti agli schermi, quanto la dipendenza da essi. I ricercatori hanno seguito oltre 4.000 ragazzi tra gli 11 e i 14 anni, scoprendo che coloro che manifestano un uso compulsivo di smartphone, videogiochi o social media, con difficoltà a disconnettersi e crescente bisogno di utilizzo, hanno da due a tre volte più probabilità di avere pensieri suicidari o di autolesionismo.
Sorprendentemente, anche coloro che trascorrono meno tempo online, ma lo fanno in modo dipendente, presentano rischi elevati. Circa la metà dei ragazzi mostra già segni di dipendenza a 11 anni, con un ulteriore 25% che peggiora negli anni successivi. Questa dipendenza è più comune tra adolescenti neri o ispanici e in famiglie a basso reddito, con genitori single o senza laurea.
Gli autori dello studio suggeriscono che non è sufficiente limitare il tempo di utilizzo; è necessario intervenire sul comportamento dipendente tramite metodologie come la terapia cognitivo-comportamentale. Semplicemente togliere il telefono potrebbe inasprire i conflitti familiari.
Il dibattito si sposta così verso le aziende tecnologiche, responsabili di meccanismi di design che incoraggiano l’uso compulsivo. Negli anglosassoni, si inizia a parlare di regolamentazioni per un design “adeguato all’età”, mentre in altre realtà questa responsabilità rimane sui genitori.
Alcuni esperti avvertono che il tempo passato sugli schermi, se interferisce con attività quotidiane come sonno e sport, ha comunque un impatto, ma la qualità dell’uso è ritenuta più cruciale della quantità. In definitiva, è fondamentale comprendere il legame psicologico che i giovani instaurano con i dispositivi digitali e agire di conseguenza.
Elaborazione AI: RassegnaNotizie.it
Fonte: www.tusciatimes.eu