La diplomazia internazionale sembra avere la capacità di riscrivere la storia recente con facilità. Fino a poco tempo fa, alcune figure erano considerate intoccabili a causa della loro destabilizzazione, violenza e fanatismo. Tuttavia, per motivi di convenienza, queste figure sono ora improvvisamente rivalutate e viste come interlocutori accettabili dalla comunità globale.
Il caso di Ahmed al-Sharaa, noto come al-Jolani, è un esempio di questo cambiamento. Il presidente siriano, ex membro di al-Qaeda e dello Stato Islamico in Iraq, si recherà a Washington per firmare un accordo di ingresso nella coalizione anti-Isis. Questo annuncio è stato accolto come una vittoria della diplomazia, nonostante al-Jolani abbia un passato di ambiguità, repressione e violenze interne.
La giustificazione per questo cambiamento è sempre la stessa: “serve stabilità”. Tuttavia, questo approccio sembra mascherare una resa morale mascherata da pragmatismo. La diplomazia ha un talento particolare nel dimenticare e riscrivere la storia quando il quadro geopolitico cambia. Ma questo approccio può essere pericoloso, poiché può portare a normalizzare figure che hanno prosperato nel caos.
Il messaggio che viene lanciato al mondo è che non importa chi sei, ma quanto servi oggi. Non esistono linee rosse, solo linee a matita, cancellabili con un fazzoletto umido e un paio di dichiarazioni coordinate. Basta dimostrare di essere utili nel combattere un nemico comune o contenere una crisi, ed ecco che anche gli interlocutori più scomodi trovano posto a tavola.
La lezione è chiara e cinica: non conta ciò che si è stati, ma ciò che si può negoziare adesso. Questo vale per i leader discutibili e per i valori che la comunità internazionale dice di difendere. I valori restano scritti nei comunicati, mentre gli interessi veri scorrono sotto il tavolo, più solidi e più duri del marmo delle cancellerie.

