Nel settore culturale italiano operano circa 825mila lavoratori, rappresentando il 3,5% degli occupati, secondo Eurostat. Questo gruppo include 306mila lavoratori registrati all’Inps, come attori e musicisti, ma anche tecnici, personale di biglietteria e bibliotecari. Nonostante il contributo economico del settore, che nel 2023 ha generato un valore aggiunto di 57,7 miliardi di euro, le condizioni lavorative sono precarie. Il 69% guadagna meno di 8 euro all’ora, e il 50% meno di 10mila euro all’anno.
Particolarmente critiche sono le condizioni nei musei e parchi archeologici, dove circa 4mila persone sono coinvolte. La legge Ronchey del 1993 ha portato all’esternalizzazione di molti servizi, con solo il 22% degli addetti assunti come pubblici. Molti lavorano in cooperativa con contratti che non garantiscono sicurezza. Valentina Cappuccini, dipendente di Ales, evidenzia la precarietà degli appalti e le difficoltà contrattuali.
Le condizioni di lavoro nel settore sono difficili: Gianluigi Pizzuti, guida al duomo di Firenze, descrive turni estenuanti e scarsi compensi, nonostante un alto livello di formazione. Anche i lavoratori del Castel Sant’Elmo segnalano disparità retributive tra dipendenti pubblici e privati.
Nei teatri, situazioni analoghe emergono. Il personale è spesso assunto con contratti a chiamata o a tempo determinato. Esistono irregolarità nei contratti di scrittura, usati impropriamente per lavoratori ordinari. Gli straordinari non retribuiti sono comuni, mentre molti dipendenti sono costretti a coprire turni serali senza compensi aggiuntivi. Queste difficoltà evidenziano la necessità di riforme nel settore.
Elaborazione AI: RassegnaNotizie.it
Fonte: ilmanifesto.it