Il governo ha introdotto una tassa sulle banche, ma questa misura non risolve i problemi strutturali del mercato bancario italiano. Il numero di banche in Italia è diminuito, con meno di 200 banchetoday, e quelle rimaste sono sempre più grandi e interconnesse con la grande finanza globale. Gli sportelli bancari chiudono e il credito si restringe, colpendo soprattutto le piccole e medie imprese (Pmi) e il Terzo settore.
La tassa sulle banche introdotta dalla Legge di Bilancio 2026 prevede un pacchetto di misure fiscali che prendono una quota di utili bancari e la portano a gettito pubblico. Tuttavia, questa misura colpisce in modo diverso banche grandi e banche piccole, penalizzando selettivamente le banche piccole e favorendo le banche più grandi.
La manovra fiscale potrebbe portare a una riduzione dell’utile netto delle banche piccole tra il 15% e il 20% nel primo anno, con rischio di erosione patrimoniale e minore spazio per erogare nuovo credito. Al contrario, le banche più grandi potrebbero gestire il trade-off tra capitale trattenuto e dividendo, senza subire un impatto significativo.
Invece di tassare la rendita bancaria, si potrebbe lavorare per incentivare la nascita e la ricapitalizzazione di banche innovative, territoriali e mission-driven, che lavorano con Pmi, filiere produttive, transizione energetica e Terzo settore. L’obiettivo dovrebbe essere abbassare la concentrazione effettiva del mercato e spingere la crescita dei prestiti vivi a imprese e famiglie produttive.
Una possibile soluzione potrebbe essere l’introduzione di una tassazione sulle transazioni finanziarie speculative, come il trading ad alta frequenza, per riorientare il sistema di incentivi e rendere più conveniente l’uso del capitale per il credito industriale e territoriale. Ciò potrebbe portare a un aumento del credito aggiuntivo e a un maggior gettito fiscale, collegato a maggiore credito e maggiore attività economica reale.

