Alla vigilia del 250° anniversario della fondazione degli Stati Uniti, il paese è ormai considerato una nazione postdemocratica. I primi cento giorni del secondo governo Trump hanno visto un’escalation di provocazioni e attacchi allo stato di diritto. La guerra commerciale avviata da Trump segna un cambiamento radicale nella globalizzazione, mentre il potere esecutivo si espande attraverso decreti, escludendo il Congresso e sfidando la magistratura. Le violazioni delle decisioni della Corte Suprema e gli arresti di giudici segnano la fine del sistema di contrappesi democratici.
Il regime trumpista, caratterizzato da un pugno di ferro, ha ordinato misure severe contro le città che resistono alle deportazioni di massa. La presidenza di Trump è stata paragonata ai totalitarismi del Novecento, suscitando preoccupazioni tra studiosi e osservatori. L’iconografia di violenza e repressione si moltiplica, con arresti di studenti e minacce contro dissidenti. Le crociate contro minoranze hanno riattivato paure storiche, mentre agenti ICE possono ora entrare in abitazioni senza mandati, evidenziando un’eredità di violazione dei diritti civili.
Il discorso pubblico è contaminato da un’ideologia di destra che mira a silenziare voci critiche e ridefinire l’educazione. Steven Levitzky ha definito il fenomeno come “autoritarismo competitivo”, in cui le libertà fondamentali vengono erose sotto la facciata di democrazia. Gli Stati Uniti, in questa spirale, rischiano di diventare un modello negativo, mostrando segni di sottomissione da parte di istituzioni e media.
Nonostante la resistenza di alcuni settori, la strada verso la restaurazione della democrazia appare complessa e irta di sfide, suggerendo che il paese è lontano da un’uscita sicura dalla sua attuale crisi politica e sociale.
